Per vedere un vero Bucintoro vado a Venezia o a Torino?
Per ammirare un vero Bucintoro dovete andare alla Reggia di Venaria (Torino) e non a Venezia come potreste pensare. L’unico, vero ed originale Bucintoro esistente oggi non si trova infatti nella città lagunare, bensì spiaggiato nell’antica Reggia dei Savoia, vicino a Torino.
La Nave dei Re d’Italia, che Vittorio Emanuele II donò ai Musei Civici Torinesi nel 1873, oggi è esposta al pubblico, dopo un restauro costato circa 250.000 euro.
Indice
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La mia esperienza col Bucintoro a Venaria
Ho visitato la Reggia di Venaria due volte, una volta alla fine del lockdown e un’altra recentemente, con una visita guidata privata (una di quelle che sono pubblicate a fondo pagina). La prima volta non mi aveva entusiasmato, ma ero rimasto ammirato dal Castello della Mandria e dalla storia della Bela Rosin, mentre la Reggia mi aveva lasciato un po’ freddo.
La seconda volta, con la visita guidata è stato diverso. La guida ci ha raccontato molti aspetti e storie interessanti e, nonostante del passato la Reggia abbia conservato solo la struttura, ho potuto apprezzare l’architettura ed alcune opere che vi sono ospitate.
La vera scoperta della visita è stata il Bucintoro dei Savoia, che vale da solo la visita.
Il viaggio da Venezia a Torino
Il 2 agosto 1731 è piena estate, c’è voglia di stare all’aria aperta e di godere di un po’ di quella brezza che rinfresca le giornate estive. A Venezia una nave si appresta a partire, non verso il mare, bensì verso le montagne torinesi. E’ il Bucintoro, acquistato dai Re di Savoia, che lascia Venezia per raggiungere Torino. Risalirà il Po, accompagnato da una Gondola e da un Burchiello per il trasporto delle merci.
Il veneziano Antonio Corrin comanda la piccola flotta. Al suo fianco il frate agostiniano Antonio Brunello e un carpentiere, che si prende la responsabilità del viaggio, insieme a quattro barcaioli che svolgono le faccende di bordo.
Per risalire il fiume la squadra non basta: ad aiutare i marinai in diversi luoghi ci sono gli alzaioli o alzaroli, che con l’aiuto di cavalli e buoi, garantiscono il traino delle imbarcazioni da terra, con dei cavi fissati agli alberi e a volte con l’aiuto di remi e di pertiche.
Per vedere un esempio del lavoro degli alzaioli ammira il dipinto di Telemaco Signorini L’alzaia.
Le prime tappe del viaggio sono Chioggia, Brondolo Pontelagoscuro e Brescello, dove si pagano i diritti di passaggio. La piccola flotta il 13 agosto raggiunge poi Cremona, Piacenza, e ancora la confluenza del Po col Ticino, dove il Burchiello viene venduto a favore di due barche più piccole. Frate Brunello a bordo del Bucintoro risale il Ticino fino a Pavia, ma un violento temporale coglie di sorpresa il convoglio e danneggia alcune attrezzature. Dopo le riparazioni, il Bucintoro riparte e, dopo un viaggio durato 32 giorni, arriva trionfalmente a Torino il 2 settembre 1731.
La Reggia sull’acqua
Torino, 2 settembre 1731: il convoglio con il Bucintoro sfila sotto il vecchio ponte che attraversa il Po e approda alla darsena coperta, appositamente costruita dinanzi al Castello del Valentino. Sabato 8 settembre 1731: il neo incoronato re Carlo Emanuele III e la regina Polissena d’Assia salgono per la prima volta sull’imbarcazione: così annota nel suo diario il cavaliere Orioles “il dopo pranzo le loro maestà presero il divertimento con Bucintoro sul Po e vi attirò concorso innumerevole per la novità”
Trame ed intrighi di corte dietro l’acquisto del Bucintoro
Il Bucintoro fu costruito a Venezia nel 1731, nella bottega di un privato. Normalmente la realizzazione del Bucintoro sarebbe stata appannaggio delle officine dell’Arsenale, le quali però, evadevano solo richieste statali. I privati, invece, si dovevano rivolgere ad uno dei cosiddetti squeri, che richiedevano comunque un requisito importante: essere cittadini veneti.
Un requisito che il committente Amedeo II non possedeva.
Gli screzi fra i Savoia e Venezia
Altri regnanti dell’epoca si sarebbero sicuramente rivolti al Governo della Repubblica, ma i rapporti fra i Savoia e Venezia non erano così idilliaci, sin da quando Amedeo I, nel lontano 1632, aveva arbitrariamente assunto il titolo di Re di Cipro e di Gerusalemme, entrambe storicamente sotto l’influenza Veneziana.
Inoltre, la costituzione del regno di Sardegna, che di fatto dava uno sbocco sul mare al potere Sabaudo, non era vista di buon occhio dai Veneziani.
Per ovviare a questi problemi, Amedeo II penso bene di avvalersi dell’opera di un mediatore: il Padre Agostiniano Cristoforo Maria Ceccati, del Monastero di Santa Margherita a Treviso, che era in buoni rapporti con i Savoia, sicuramente motivato dalle ingenti somme che i regnanti versavano nelle sue casse.
Commesse e mancati pagamenti per la realizzazione del Bucintoro
Il padre ricevette infatti 35.000 lire, pari a circa 5 milioni di euro, per la commessa ed il pagamento del Bucintoro, mente altri 15.000 ne avrebbe ricevuti all’arrivo del Bucintoro a Torino. In realtà il saldo non arrivò mai, perché il Padre morì prima di vedere l’opera finita e di incassare quanto pattuito.
In questo modo i Savoia risparmiarono ben 15.000 lire, che si guardarono bene dal pagare agli eredi.
Il costo reale del Bucintoro non venne mai reso noto e Filippo Juvarra, nella sua contabilità, indicò in 21.500 lire la spesa totale. Solo recentemente, intorno al 2010, Alessandra Castellani Torta e Giorgio Marinello hanno riportato alla luce i documenti della commissione originali, mischiati alla contabilità del Tabacco nell’Archivio di Stato di Torino, scoprendo così che la differenza era stata ricavata distraendo i fondi dalle gabelle del tabacco.
La figura di Padre Cristoforo
Padre Cristoforo non fu solamente un prestanome, ma fu colui, che insieme a Filippo Juvarra, ideatore e progettista dell’opera, seguì la commessa e si occupò di ogni aspetto della realizzazione, arrivando in alcuni momenti a finanziare i pagamenti dello squero con soldi propri, visto che i finanziamenti da Torino non erano sempre puntuali.
Anche Amedeo II non vide mai realizzata l’opera, costretto ad abdicare per ragioni di opportunità e poi rinchiuso nel castello di Moncalieri, dove morì nel 1732.
La moda in Europa
La moda di possedere piccoli Bucintori si diffuse ben presto anche in Europa, grazie all’eco avuta dal bucintoro del Doge Veneziano e da quello dei Savoia. Furono infatti costrutiti piccole imbarcazioni simili destinate alla Polonia, alla Baviera, per i duchi di Modena, quello di Parma e Piacenza e per il governatore austriaco della Lombardia.
Il Regio gondoliere dei Savoia
La scelta i un Bucintoro non è casuale: nonostante le radici alpine, i Savoia amavano la marina. Infatti, fin dal 1563, anno in cui la corte venne trasferita a Torino, fondarono e mantennero il corpo dei Barcaruoli di Sua Altezza. Non solo: a Torino le gondole erano già presenti sin dagli inizi del Seicento, ne è testimonianza il fatto che il veneziano Matteo Cavalchino svolse il ruolo di gondoliere di corte almeno dal 1608 al 1619 e dopo di lui, molti altri veneziani illustri.
Il fascino della gondola
Le gondole, infatti, nel 1700 a Torino andavano per la maggiore. Insieme a quella arrivata col Bucintoro, i Savoia ne vollero altre: nel dicembre 1731 i Savoia acquistarono a Venezia anche una Peota più piccola, rossa e bianca a festoni e decorata con conchiglie in ottone.
Ancora metà Settecento la corte Sabauda disponeva di una piccola flotta per i divertimenti sul Po: oltre al Bucintoro c’erano un paio di Peote a dieci remi e almeno due o tre gondole.
Gondoliere di sua maestà era allora Andrea Innocenti, pagato 730 lire annue, circa 100.000 euro facendo le proporzioni col costo del Bucintoro.
Rematori e livree
Le testimonianze dell’epoca raccontano che i Savoia erano soliti usare il Bucintoro sul Po, per farne sfoggio tra la città ed il Castello del Valentino. In queste occasioni oltre alle uniformi multicolori delle truppe di corte, il paesaggio lungo il Po era animato dalle ricche e colorate livree e degli alabardieri svizzeri, dei gondolieri e dei rematori della barca ammiraglia.
Come è fatto il Bucintoro della Reggia di Venaria
Il Bucintoro è costruito in modo particolare, prendendo come base uno scafo di una Peota veneziana, impreziosita da sculture ricercate, bassorilievi e decorazioni ad intaglio. La Peota è una imbarcazione fluviale a con il fondo piatto, adatto per navigare in acque basse, usata diffusamente fino agli inizi del XX secolo. L’imbarcazione è dotata di un’ampia cabina con finestrelle, detta tiemo, destinata al ricovero delle persone o delle merci trasportate.
Il Bucintoro sabaudo è lungo quasi 16 metri, largo 2 metri e 60, con un albero di oltre 12 metri. Il Tiemo è lungo 5 metri ed ha il tetto a botte, con 10 finestrelle. L’interno, dove attualmente sono posizionate alcune panche, in origine ospitava due piccoli troni ed un tavolo, ed era riccamente decorato ed ornato da tessuti e tappeti. La dotazione del Bucintoro era completata dalle quattro lanterne in legno ed ottone poste ai quattro angoli della zona coperta.
L’armamento velico o le vele
Quello che si chiama Armamento Velico ovvero l’insieme dell’albero, del boma e degli otto remi per la voga cosiddetta “alla veneta”, sono stati probabilmente sostituiti nel tardo ottocento, quindi non si tratta degli originali.
I remi sono particolari, costruiti con le classiche pale armate di punte in ferro, che in caso di acque basse possono essere utilizzate come una pertica e puntate sul fondo del lago o del fiume. Questo tipo di propulsione viene detta “a scarroccio” ed è utile in caso di correnti particolarmente forti o per superare le zone di acque basse dove non è possibile utilizzare i classici remi.
La vela utilizzata nel Bucintoro è la cosiddetta Vela al Terzo o Verga Secca, una vela di taglio e che può lavorare su entrambe le facce, mutuata dalle vele auriche, che hanno una forma trapezoidale e sono posizionate posteriormente all’albero.
Le decorazioni del Bucintoro della Reggia di Venaria
Le sculture che ornano il Bucintoro sono opera di Egidio Goyel e di Matteo Calderoni, un artista che aveva lavorato già alla costruzione del Bucintoro del Doge di Venezia. In realtà il progetto di quanto doveva essere rappresentato sul Bucintoro era di Filippo Juvarra, architetto Reale che già nel 1729 si era recato a Venezia, ma che aveva completato lo studio dell’iconografia da rappresentare nel 1730 a Brescia.
Le sculture del Bucintoro
Calderoni realizzò le sculture di prua, che rappresentano Narciso che si specchia nelle acque, affiancato da due figure di vecchi barbuti nell’atto di versare acqua dagli otri, allegorie del Po e dell’Adige. Suoi sono anche i cavalli marini cavalcati da putti che decorano la prua ed il fregio dorato a bassorilievo che si ammira lungo le fiancate con figure di Nereidi, Tritoni, Delfini con fauna e flora marina.
Le pitture all’interno del tiemo si rifanno ad alcuni episodi della storia sabauda: Carlo Emanuele I che conquista il marchesato di Saluzzo, nel 1601, con il motto OPPORTUNE, la spedizione di Amedeo VI nell’isola di Rodi con il mitico motto FERT.
Al centro del soffitto la scena viene collegata alla pacificazione tra Papa Niccolò V e Amedeo VIII, duca di Savoia (antipapa come Felice V nel 1440), probabile allusione al concordato concluso da Vittorio Amedeo II e Benedetto XIII nel 1727. Sugli schienali dei sedili le pitture celebrano il buon governo dei Sabaudi, con le allegorie delle scienze e delle arti.
L’arredamento del tiemo del Bucintoro dei Savoia
L’allestimento del Bucintoro, per dare risalto ai fasti della corona, prevedeva anche una cabina di oltre 5 metri, per la comodità degli ospiti regali. Questa cabina, detta tiemo, era chiusa sui lati, ma munita di 10 piccole finestre per dare modo di godere del panorama. La copertura originale era stata ovviamente costruita a Venezia, in rio dei Mendicanti, agli inizi del 1731 presso lo “squero di padron Zuanne” o Giovanni.
Possiamo farci un’idea precisa dell’equipaggiamento del Bucintoro dai documenti storici dell’epoca che lo descrivono con precisione. Nell’allestimento odierno si è tentato di ricostruire in modo fedele gli elementi essenziali dell’arredo.
Allestimento originale e ricostruzione
L’inventario del 1731 descrive una tavola centrale coperta da un tappeto di velluto cremisi finita con un gallone (una passamaneria dorata), due cuscini in velluto per le panche laterali, due poltrone dorate con lavorazioni ad intaglio, tappeti rigorosamente cremisi, tendine di seta alle finestre e all’ingresso, queste ultime ornate di frange e galloni.
Volendo riproporre la il Bucintoro alla Reggia di Venaria con i suoi antichi fasti, è stata ricostruita anche la vela originaria, a grandi fasce bianche ed azzurre che donano all’imbarcazione un aspetto veramente elegante. Ovviamente la nuova vela è stata adattata a quello che è l’impianto velico ottocentesco, differente dall’originale, ma le vele sono state comunque realizzate in un laboratorio artigianale veneziano, rispettando per quanto possibile la tradizione settecentesca.
Fonti principali
Oltre a conoscenze personali ed alle tavole esposte accanto al Bucintoro alla Reggia di Venaria, le principali fonti per la ricerca sono state:
- Progetto Storia Dell’Arte https://www.progettostoriadellarte.it/2021/01/20/il-bucintoro-dei-savoia/
- Il Giornale del Po https://www.ilgiornaledelpo.it/32-giorni-in-viaggio-da-venezia-a-torino/
- Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Bucintoro
- il sito di Luigi Griva https://www.bucintorosavoia.it/il-bucintoro-di-torino.html
Faq sul Bucintoro
Perché non esiste più un Bucintoro originale a Venezia?
Il Bucintoro di Venezia venne distrutto dalle truppe di Napoleone nel 1797 per cancellare un odioso simbolo del l’antico regime ma anche per recuperare i numerosi chili d’oro usati per dorare le sculture dell’imbarcazione (fonte)
Dove fu nascosto il Bucintoro dei Savoia?
Il Bucintoro non fu nascosto, ma conservato in un’officina e scampò alla distruzione di Napoleone.
Cos’è il Tiemo?
Il Tiemo è la copertura a volta tipica della barche veneziane
Quanto è costato il Bucintoro dei Savoia?
Il Bucintoro costò circa 35.000 lire dell’epoca, equivalenti a circa 5 milioni di euro odierni.
Che fine ha fatto il Bucintoro di Venezia?
Nel momento in cui le truppe francesi lasciarono Venezia, ceduta all’Austria in seguito al trattato di Campoformido, nei primi giorni del gennaio 1798, dopo averlo spogliato a colpi di scure di tutti gli intagli e delle statue dorate, il Bucintoro venne dato alle fiamme, che arsero il naviglio per tre giorni consecutivi.
Dallo scempio si salvarono solamente pochissimi, preziosi intagli, tra i quali la valva dorata con l’immagine di San Marco (cioè la porticina che si apriva dietro lo scranno dogale per permettere di lasciar cadere in acqua la vera sponsale), mentre lo scafo, in seguito armato con cannoni e ribattezzato “Idra” venne posto dagli austriaci all’imboccatura del porto di Malamocco, fino a quando venne riportato in Arsenale dove fu completamente demolito nel 1884.
Fonte: https://www.veneziamuseo.it/REPUBBLICA/repdoge8.htm
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